Orvieto è l’ennesima testimonianza del fatto che l’Umbria possa essere considerata a tutti gli effetti un “museo diffuso”. La meraviglia del suo Duomo, uno tra i capolavori assoluti dell’architettura romanico-gotica, s’inserisce in un ambiente di grande interesse paesaggistico, certamente uno dei più incontaminati e ricchi di belvedere della regione, complice anche il meraviglioso colpo d’occhio offerto dalle sponde del Lago di Corbara e dall’Oasi di Alviano, due bacini idrici artificiali che insieme al Tevere contribuiscono a qualificare il territorio. Concludiamo l’itinerario attraversando la comunità montana del Monte Peglia e Selva di Meana, al cui interno si trovano siti naturalistici di grande attrattiva e deliziosi borghi medievali come Montecastello di Vibio.

>>Scopri dove soggiornare ad Orvieto: i migliori agriturismo della città

>>Guarda gli hotel di Todi e scegli dove soggiornare in Umbria

Lo splendore millenario di Orvieto.

Sin dalla Protostoria popolazioni primitive scelsero la rupe orvietana per la posizione naturalmente protetta e, di conseguenza, sicura. Fu tuttavia per merito degli Etruschi, di cui si conservano numerose necropoli, tra cui quella del Crocifisso, che avvenne la colonizzazione definitiva della zona. Nel 264 a.C. le truppe romane espugnarono la città e, durante il periodo altomedievale, Orvieto subì terribili invasioni barbariche; in seguito divenne libero Comune. Va inoltre ricordata la stagione che vide la città al centro della lotta contro le eresie, nei secoli XII e XIII; essa è considerata, insieme a Viterbo, l’ultimo baluardo dell’ortodossia cattolica prima che l’onda ereticale giungesse a Roma. Iniziamo la nostra passeggiata dal parcheggiodi piazza Cahen, percorrendo corso Cavour, l’arteria stradale che taglia in due la città di Orvieto. Incontriamo sulla nostra sinistra la traversa di via del Duomo, incominciando così uno dei percorsi più seducenti della cittadina; superiamola deliziosa piazza Gualtieri e incappiamo nella medievale Torre di Maurizio,con il suo antico orologio, risalente al 1351,e la sua statua di bronzo; siamo finalmente a ridosso del vero e proprio gioiello del borgo, la Cattedrale, dei più noti e splendidi edifici di tutta l’arte romanico-gotica europea. L’imponente mole dell’edificio appare come una mastodontica replica di reliquiario medievale. La slanciata e preziosa facciata mostra ancora l’impronta trecentesca del progetto, ma il conoscitore d’arte coglierà immediatamente i seppur ben integrati restauri, aggiunte e ricostruzioni succedutesi fino ai nostri giorni. Tanti e illustri sono i nomi che si possono enumerare nella lunga e articolata storia della fabbrica del Duomo: Fra’ Bevignate da Gubbio, Arnolfo di Cambio, Lorenzo Maitani, Andrea Pisano, l’Orcagna, Antonio Federighi, Michele Sanmicheli,Giuseppe Valadier. E il novero di personaggi celebri dell’arte italiana non termina qui: all’interno, nella Cappella di San Brizio, si trovano affreschi del Beato Angelico e di Benozzo Gozzoli. La decorazione della cappella fu poi terminata nei primissimi anni del Cinquecento da Luca Signorelli, con i terribili e visionari affreschi sull’Apocalisse.è d’obbligo menzionare anche la Cappella del Corporale, dove si conserva il lino insanguinato del miracolo di Bolsena, avvenuto nel 1263. Il reliquiario, eseguito dall’orafo senese Ugolino di Vieri tra il 1337 e il 1338, è un’opera capitale dell’oreficeria europea,stupefacente trionfo di oro, argento e smalto. Imperdibili sono le raccolte d’arte conservate nel Museo dell’Opera del Duomo e nel Museo Archeologico; in quest’ultimo si possono ammirare le testimonianze più antiche delle popolazioni che si insediarono sull’alta rupe orvietana. Degna di nota è la Chiesa di San Giovenale, il cui aspetto attuale risale all’anno Millecirca e che conserva al suo interno una straordinaria sovrapposizione di affreschi di diverse epoche e importanti frammenti scultorei altomedievali. A ridosso del Duomo si erge lo splendido complesso dei Palazzi Papali, con il Palazzo Vescovile (eretto alla fine del X sec. da Benedetto VII) e il Palazzo Soliano, le cui sale ospitano il Museo Emilio Greco e il Museo dell’Opera del Duomo. Non resta che riprendere via del Duomo, tornare su corso Cavour e proseguire verso piazza della Repubblica con la sua splendida Chiesa di S. Andrea e lasua singolare torre dodecagonale. Siamo nel cuore di Orvieto, con i suoi palazzi storici, le residenze nobiliari e le tante botteghe e caffè: raggiungiamo via del Popolo e quindi piazza del Popolo dovesi erge l’omonimo palazzo, voluto dalla famiglia Neri della Greca alla fine del XIII sec. Concludiamo il nostro girovagare per Orvieto superando piazza Vivaria, piazza Corsica e piazza XXIX Marzo, che accoglie la Chiesa di San Domenico: la sua originaria struttura,della metà del secolo XIII, più volte rimaneggiata,è ormai quasi del tutto scomparse così del grandioso complesso architettonico si sono salvati solamente il transetto e l’abside della chiesa stessa. L’opera più importante conservata in San Domenico è certamente il mutilo monumento funebre al Cardinale Guglielmo De Braye, morto nel 1282: costituisce un complesso scultoreo in marmo di grande rilevanza nell’arte del Duecento italiano(1282), firmato da Arnolfo di Cambio. Siamo a pochi metri dal nostro parcheggio di piazza Cahen: ci basta spostarci pervia Di Cambio e via Roma.

Orvieto e Luca Signorelli.

La fondazione della cattedrale di Orvieto risale al 1290, anche se dobbiamo notare come il progetto iniziale abbia subìto varie modifiche per l’avvicendarsi degli architetti e dei diversi artisti nel corso dei secoli. Arnolfo di Cambio, per primo, ottenne la conduzione del cantiere ma dopo alcuni anni l’onere, e onore, passò a Lorenzo Maitani; proprio al senese oggi si attribuisce la paternità del tempio e dei rilievi delle Storie della Genesi e del Giudizio Finale scolpiti in facciata. Lungi dall’esser compiuto alla morte del Maitani il Duomo subì notevoli modifiche, soprattutto nella zona absidale e, nel corso dei secoli, ha ospitato considerevoli opere dei più noti maestri dell’arte. All’esterno il tempio è caratterizzato, come nel Duomo di Siena, dalla dicromia delle strisce del paramento murario e l’alta facciata tripartita si staglia nel cielo, lasciando stupito il viaggiatore che giunge alla piazza attraverso gli angusti vicoli medievali. All’interno si trovano due importantissime cappelle: quella del Corporale e quella di San Brizio. Nella prima è conservato, all’interno del celebre reliquiario eseguito dall’orafo senese Ugolino di Vieri, il lino insanguinato del miracolo di Bolsena del 1263. Nella seconda, vero e proprio scrigno del Rinascimento italiano, si trovano i pregevoli affreschi di Benozzo Gozzoli, Beato Angelico e di Luca Signorelli. Al Beato Angelico, alla metà del Quattrocento, venne affidato l’incarico di affrescare le vele con il Cristo Giudice ed i Profeti; la decorazione della volta venne tuttavia completata dal Signorelli quasi cinquant’anni dopo. Proprio al Signorelli vanno attribuiti gli affreschi che rendono tanto celebre la Cappella di San Brizio. Vi troviamo dipinti, infatti, figli di attento studio teologico, I Fatti dell’Anticristo, La Resurrezione della carne, I Dannati, Gli Eletti, L’Antinferno e L’Ascesa degli Eletti al Paradiso. Il ciclo è fondato sul pensiero di Nicola Cusano, che aveva intessuto stretti rapporti con l’élite culturale orvietana. Nella cappella di San Brizio vediamo, tradotta in immagini, l’idea cusanea della conoscenza umana. Questa, per la propria natura terrena e quindi finita, si trova sempre divisa fra Bene e Male, e, religiosamente, fra Cristo e Anticristo. Di conseguenza l’uomo è costretto sempre a scegliere fra le due vie: l’unica soluzione a questo dualismo è in Dio, che è creatore, ad un tempo, di una cosa e del suo contrario. Al di là dei reconditi significati culturali e filosofici celati in questa preziosa opera, apparirà chiaro anche al turista meno informato quanto centrale nella storia dell’arte sia stata l’impresa del Signorelli. Le pareti si contrappongono per significati e le scene all’interno di esse si alternano come in un aut aut semantico; questo si rispecchia nel ritmo frenetico dei diavoli in contrasto con quello pacato degli angeli; alternarsi confuso della predica dell’Anticristo e misurato nelle variegate pose dei risorti. Anche se sembra ormai superata l’ipotesi che lo stesso Michelangelo Buonarroti abbia studiato e si sia ispirato ai nudi affrescati dal cortonese, rimane affascinante pensare che proprio dalla cittadina di Orvieto il più noto pittore del Rinascimento abbia originato, in qualche modo, le possenti e terribili figure della Cappella Sistina che ancora oggi stupiscono come cinque secoli fa. Andrà solo citata, per brevità ma non per minor valore, la Madonna con Bambino affrescata da Gentile da Fabriano nel 1425, opera di estrema importanza soprattutto alla luce del fatto che gli altri affreschi dell’artista sono andati per la maggior parte perduti.

Il Lago di Corbara, il Lago di Alviano e il Miracolo Francescano.

In poco meno di mezz’ora, lasciandoci alle spalle Orvieto, raggiungiamo il Lago di Corbara (Orvieto Scalo, SS 71, SS 79 bis, località Sette Martiri), un bacino artificiale con una superficie di dieci chilometri creato lungo il Tevere tra il 1959 e il 1962 grazie a una diga per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica. Corbara è un territorio d’eccellenza sotto il profilo eno-gastronomico: la zona che circonda il bacino idrico è abbondante di vigneti che danno vita alla doc “Lago di Corbara”. Civitella del Lago è il borgo che sovrasta l’invaso di Corbara e il belvedere sullo specchio d’acqua offre uno dei panorami più belli dell’Umbria tutta: tipica del luogo è l’Ovo Pinto, una manifestazione basata sulla decorazione delle uova, pratica che trova le sue origini nel tradizionale rito dello scambio di uova durante il periodo pasquale. Un museo civico raccoglie e conserva migliaia di uova, di tutte le specie animali, dipinte o scolpite da artisti professionisti o da semplici amatori. Non lontano dal Lago di Corbara (ss 448 verso Rota, vocabolo Caiana, SS 205, Baschi, Castiglione) apre il bacino idrico del Lago di Alviano, risultato dello sbarramento artificiale del Tevere per la produzione di energia idroelettrica del 1963. Oasi Wwf, il Lago di Alviano si estende su una superficie di circa 900 ettari e ospita una grande varietà e quantità di fauna in migrazione (anatre, oche, folaghe) nota fin dai tempi di San Francesco, che qui avrebbe pregato le rondini di tacere per poter iniziare la sua predica: episodio, questo, meglio conosciuto come il “miracolo delle rondini”.

Il Sentiero di San Francesco tra le acque di Corbara e Alviano.

Attorno al Lago di Alviano la storiografia francescana ha raccolto innumerevoli testimonianze di notevole attrattiva: miracoli, eremi e conventi raccontano il suo passaggio e la sua predica. Iniziamo il nostro percorso dal Convento di Pantanelli, a sud del lago di Corbara,uno dei centri di più grande pregnanza spirituale dell’Umbria perché vissuto da San Francesco e da Fra’ Jacopone da Todi: San Francesco partecipò alla sua costruzione, nel 1216, e Jacopone (che si era fatto francescano nel 1278) prese ispirazione da questo luogo di preghiera per comporre molte delle sue laudi, tra cui la Stabat Mater. Nella grotta di roccia arenaria è ancora visibile il giaciglio adoperato dal santo di Assisi così come, poco distante, si trova l’elce da lui piantato e uno scoglio del fiume Tevere dove la leggenda vuole che si sia materializzato il miracolo del dialogo con i pesci. A circa venticinque minuti di macchina dal Convento di Pantanelli, a sud dell’oasi di Alviano, sopra un dorso collinare, giace il borgo medievale fortificato di Alviano, all’interno di un territorio ricco di calanchi. La Rocca è di sicuro il suo monumento architettonico più rilevante e merita una breve visita: costruita nel 1495, con quattro torrioni, una pianta quadrata e con un bel giardino a corte con doppio loggiato, ospita un affresco dedicato al Miracolo delle Rondini di San Francesco all’interno della Cappella delle Rondini. Proseguiamo verso sud in direzione di Lugnano per circa 6 km (SS 205) e raggiungiamo il Convento di San Francesco nel verde di un rigoglioso boschetto. Fu eretto agli inizi del XIII sec. per rendere omaggio al Santo che in quel territorio si dice abbia compiuto il miracolo di salvare un bambino dall’attacco di un lupo: una storia ampiamente descritta da un affresco interno. Di grande interesse anche la struttura architettonica, sobria ed elegante, con un bel campanile e un chiostro. Riprendiamo a questo punto il nostro viaggio verso nord (SS 205 verso strada Piantoneto, strada Coccianesi) raggiungere il piccolo Eremo di Sant’Illuminata; luogo di culto camaldolese fondato da San Romualdo nell’XI sec., è posto al termine di una discesa sterrata che conduce a una piccola grotta dove si dice dormisse proprio San Francesco.

Montecastello di Vibio e la Campagna Tuderte.

Un’ora di macchina circa ci divide dal suggestivo borgo di Montecastello di Vibio (SS 205 verso Guardea, Casaline, Montecchio, Case Nuove, SS 448, Pontecuti, Torrerosa, Canonica) in un percorso stradale che offre innumerevoli scorci panoramici e che per lunghi tratti sfiora alcuni degli orizzonti più belli della regione: è l’occasione per guardare, sotto un’altra angolatura, i due bacini d’acqua di Alviano (dall’alto del dorso collinare di Guardea) e di Corbara, uno specchio d’acqua che possiamo ammirare nel suo punto di osservazione più affascinante, quello annunciato a nord dalle Gole del Forello: uno scenario naturale d’impareggiabile bellezza che merita di essere apprezzato con calma in ogni sua parte. E poi l’arrivo al piccolo ma bellissimo borgo di Montecastello di Vibio, silenzioso e incastonato in un territorio di grande interesse naturalistico, il Parco del Monte Peglia e Selva di Meana. Non ci stupisce se l’antropologa americana Sydel Silverman lo definì il “paradiso perduto” dato che il suo assetto urbanistico è riuscito a mantenere intatto l’originale assetto medievale e, da qualsiasi affaccio, si domina un orizzonte ampio e incantevole. Montecastello di Vibio, inoltre, è conosciuto in tutto il mondo per il suo Teatro della Concordia, il più piccolo del mondo con i suoi novantanove posti tra platea e galleria, progettato nell’anno della Rivoluzione Francese, nel 1789, su commissione di nove famiglie nobili della cittadina. Non resta che giungere a Todi (SS 397 verso Poggiolo, San Valentino, SS 3 bis) un percorso di venti minuti circa in un sali e scendi di strade di campagna che ci regalano uno sguardo nell’Umbria più incontaminata, acerba e ancora contadina.